martedì 29 settembre 2009

Lettera scritta da Paolo Scaroni(tifoso mandato in coma dalla cellere a Verona)

Ill.mo Ministro degli Interni
p.c. Presidente della Repubblica
p.c. Presidente del Consiglio
p.c. Ministro di Giustizia
p.c. Sindaco di Brescia
p.c. Prefetto di Brescia
p.c. Questore di Brescia
p.c. Sindaco di Verona
p.c. giornali e tv

scrivo questa lettera alla vigilia dell’anniversario di una data
che mi ha cambiato la vita: il 24 settembre del 2005.
Mi presento: sono Paolo Scaroni, abito a Castenedolo, piccolo paese della provincia
di Brescia.
Ero un allevatore di tori.
Ero un ragazzo normale, con amicizie, una ragazza, passioni, sani valori -anche
sportivi- e la giusta curiosità. Facevo infatti molto sport e viaggiavo quando potevo.
Ero soprattutto un grande tifoso del Brescia.
Una persona normale, come tante, direbbe Lei.
Oggi non lo sono più (per la verità tifoso del Brescia lo sono rimasto, sebbene non
possa più vivere la partita allo stadio com’ero solito fare: cantando, saltando,
godendo oppure soffrendo).
Tutto è cambiato il 24 settembre del 2005, nella stazione di Porta Nuova a Verona.
Quel giorno, alla pari di migliaia di tifosi bresciani -fra i quali molte famiglie e
bambini- avevo deciso di seguire la Leonessa a Verona con le migliori intenzioni, per
quella che si preannunciava una sfida decisiva per il nostro campionato di serie B.
Finita la partita, siamo stati scortati in stazione dalla polizia senza nessun intoppo o
tensione. Dopo essermi recato al bar sottostante la stazione, stavo tornando con molta
serenità al treno riservato a noi tifosi portando dell’acqua al resto della compagnia
(era stata una giornata molto calda ed eravamo quasi tutti disidratati). Tutti gli altri
tifosi erano già pronti sui vagoni per fare velocemente ritorno a Brescia. Mancavano
pochi minuti ed i binari della stazione erano completamente deserti. Cosa alquanto
strana visto il periodo, l’orario e soprattutto la città in cui eravamo, centro nevralgico
per il passaggio dei treni.
Improvvisamente, senza alcun preavviso o motivo apparente, sono stato travolto da
una carica di “alleggerimento” del reparto celere in servizio quel giorno per
mantenere l’ordine pubblico e picchiato a sangue, senza avere nemmeno la possibilità
di ripararmi. Sottratto al pestaggio dagli amici (colpiti loro stessi dalla furia delle
manganellate), sono entrato in coma nel giro di pochissimo e quasi morto.
Dopo circa venti minuti dall’aver perso conoscenza sono stato caricato su
un’ambulanza -osteggiata, più o meno velatamente, dallo stesso reparto che mi aveva
aggredito- e trasportato all’ospedale di Borgo Trento a Verona. Lì sono stato operato
d’urgenza. Lì sono stato salvato. Lì sono tornato dal coma dopo molte settimane. Lì
ho passato alcuni mesi della mia nuova vita. Una vita d’inferno.
Nel frattempo la mia famiglia, in uno stato d’animo che fatico ad immaginare, subiva
pressioni e minacce affinché la mia vicenda mantenesse un basso profilo.
Ai miei amici non andava certo meglio, nonostante tutti gli sforzi per far uscire la
verità.
Ovviamente, alcune cose di cui sopra le ho sapute molto tempo dopo la mia
aggressione. Il resto l’ho scoperto grazie al lavoro del mio avvocato.
Dalla ricostruzione dei fatti e tramite le tante testimonianze, emerge un quadro
inquietante, quasi da non credere; ma proprio per questo da rendere pubblico.
In seguito alle gravissime lesioni subite, presso la Procura della Repubblica di
Verona è iniziato un procedimento a carico di alcuni poliziotti e funzionari
identificati quali autori delle lesioni da me subite. Nonostante il Giudice per le
Indagini Preliminari abbia respinto due volte la richiesta d’archiviazione, il Pubblico
Ministero non ha ancora esercitato l’azione penale contro gli indagati.
Mi domando per quale ragione ciò avvenga e perché mi sia negata giustizia.
Oggi, dopo avere perso quasi tutto, rimango perciò nell’attesa di un processo,
nemmeno tanto scontato, considerati i precedenti ed i tentativi di screditarmi.
Oltretutto i poliziotti erano tutti a volto coperto, quindi non identificabili (com’è
possibile tutto questo?), sebbene a comandarli ci fosse una persona
riconoscibilissima.
Dopo le tante bugie e cattiverie uscite in modo strumentale sul mio conto a seguito
della vicenda, aspetto soprattutto che mi venga restituita la dignità.
Ill.mo Ministro degli Interni, sebbene la mia vicenda non abbia destato lo stesso
scalpore, ricorda un po’ le tragedie di Gabriele Sandri, di Carlo Giuliani, ed in
particolare di Federico Aldrovandi (accaduta a poche ore di distanza dalla mia), con
una piccola, grande differenza: io la mia storia la posso ancora raccontare, nonostante
tutto.
Le dinamiche delle vicende sopra citate forse non saranno identiche, ma la volontà di
uccidere sì, è stata la medesima. Altrimenti non si spiega l’accanimento di queste
persone nei miei confronti, soprattutto se si considera che non vi era una reale
situazione di pericolo: era tutto tranquillo; ero caduto a terra; ero completamente
inerme. Ma le manganellate, come descrive il referto medico, non si sono più
fermate.
Forse, ho pensato, oltre alla vita volevano togliermi anche l’anima.
Per farla breve, in pochi secondi ho perso quasi tutto quello per cui avevo vissuto -per
questo mi sento ogni giorno più vicino a Federico- e senza un motivo apparente.
Sempre ovviamente che esista una giustificazione per scatenare tanta crudeltà ed
efficienza.
Le mie funzioni fisiche sono state ridotte notevolmente, e nonostante la lunga
riabilitazione a cui mi sottopongo da anni con molta tenacia non avrò molti margini
di miglioramento. Questo lo so quasi con certezza: l’unica cosa funzionante come
prima nel mio corpo infatti è il cervello, attivo come non mai. Dopo quattro anni non
ho ancora stabilito se questa sia stata una fortuna.
Ho perso il lavoro, sebbene abbia un padre caparbio che insiste nel mandare avanti la
mia ditta, sottraendo tempo e valore ai suoi impegni.
Ho perso la ragazza.
Ho perso il gusto del viaggiare (il più delle volte quelli che erano itinerari di piacere
si sono trasformati in veri e propri calvari a causa delle mie condizioni fisiche),
nonostante mi spinga ancora molto lontano.
Ho perso soprattutto molte certezze, relative alla Libertà, al Rispetto, alla Dignità,
alla Giustizia e soprattutto alla Sicurezza.
Quella sicurezza che Lei invoca ogni giorno, e tenta d’imporre sommando nuove
leggi e nuove norme a quelle già esistenti (fino a ieri molto efficaci, almeno per
l’opinione pubblica).
Peccato però che queste leggi non abbiano saputo difendere me, Federico, Carlo e
Gabriele dagli eccessi di coloro che rappresentavano, in quel momento, le istituzioni.
Ill.mo Ministro degli Interni, alcune cose mi martellano più di tutto: ogni giorno mi
domando infatti cosa possa spingere degli uomini a tanto. Non ho la risposta.
Ogni giorno mi domando se qualcuna di queste tragedie potesse essere evitata. La
risposta è sempre quella: sì.
A mio modesto parere, ciò che ha permesso a queste persone di liberare la parte
peggiore di sé è stata la sicurezza di farla franca.
Sembra un paradosso, ma in un Paese come il nostro in cui si parla tanto di “certezza
della pena”, di “responsabilità” e di “omertà”, proprio coloro che dovrebbero dare
l’esempio agiscono impuniti infrangendo ogni legge scritta e non, disonorano
razionalmente la divisa e l’istituzione rappresentata, difendono chi fra loro sbaglia
impunemente.
Ill.mo Ministro degli Interni, dopo tante elucubrazioni, sono giunto ad una
conclusione: se queste persone fossero state immediatamente riconoscibili,
responsabili perciò delle loro azioni, non si sarebbero comportate in quella maniera
ed io non avrei perso tanto.
Le chiedo quindi: com’è possibile che in Italia i poliziotti non portino un segno di
riconoscimento immediato come accade nella maggior parte delle Nazioni
europee?
Ill.mo Ministro degli Interni, io non cerco vendetta, semmai Giustizia.
Mi appello a Lei ed a tutte le persone di buon senso affinché questi uomini vengano
fermati ed impossibilitati nello svolgere ancora il loro “dovere”.
Chiedo quindi che si faccia il processo e nulla sia insabbiato.
Cordiali saluti.
Paolo Scaroni, vittima di uno Stato distratto.

1 commento:

Gabriele ha detto...

Che dire? Niente, ha detto tutto Scaroni e quello che è successo...








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